giovedì 23 agosto 2012

Frequency Festival 2012 - part 3

Al terzo giorno ci arrivo fisicamente mal messo, ma con spirito ottimista. Sulla carta il sabato promette di essere molto, molto interessante. Alle 14.30 sono già di fronte al palco principale, sotto un sole che cuoce, ad attendere i Jezabels, band che in Australia - patria d'origine - ha fatto il botto con il suo pop che rimanda alla gloriosa wave degli '80. La voce di Hayley Mary - anche se talvolta sfuggente - intriga non poco. Mi riprometto di approfondirne la conoscenza su internet (voto: 6/7). Il secondo show è anche uno dei più attesi, per quanto mi riguarda. Sul Green Stage suona l'irlandese Wallis Bird, il cui penultimo album ho avuto modo di consumare in auto nelle settimane precedenti. Lei si presenta con un look improponibile anche in un paese come l'Austria (più crucca dei crucchi, per capirci) e lo spettacolo sembra quasi improvvisato per quanto risulta "informale", ma la voce che ho apprezzato su disco salta comunque fuori e la band è simpatica. Il contesto non è ideale (mi sento un pollo sullo spiedo), il pubblico però è partecipe e se avesse eseguito "An idea about Mary" (la mia preferita) le avrei anche assegnato un bel 7. Dovrà accontentarsi pure Wallis del 6/7. I Glasvegas sul Race Stage partono bene, sanno stare sul palco, sanno suonare, ma dopo mezz'ora mi hanno stufato (voto: 6.5). Si ritorna sul secondo palco, dove nel frattempo ha già attaccato il belga Milow. La sua musica - per niente fracassona e alquanto ispirata (aggiungiamoci una buona band, in particolare il chitarrista) - è un pop elegante che merita di essere approfondito. Un piacere per le orecchie, davvero (voto: 7+). Altro trasferimento: sul palco principale hanno iniziato gli Hot Chip, gruppo che mescola rock, elettronica e dance, un po' come i !!! che ebbi occasione di apprezzare in una precedente edizione del Frequency. Seguo il loro show da seduto, col piede a seguire il tempo e un Calippo alla Coca Cola per provare un minimo di refrigerio (voto: 6.5). Si ritorna quindi sul Green Stage, per i Dandy Warhols. Non è la prima volta che la band di Courtney Taylor-Taylor si esibisce in questo festival austriaco (io c'ero anche nel 2007) e seppur non facendomi impazzire, riesce lo stesso a coinvolgermi con delle canzoni che traggono ispirazione dai migliori anni '60 (Velvet Underground, Rolling Stones, Beach Boys). Quando poi nel repertorio puoi vantare un inno del calibro di "Bohemian Like You" non hai davvero paura di niente (voto: 6/7). A questo punto sono le 20, sul palco principale stanno suonando i Bloc Party (autentici cialtroni del pop/rock) e dopo di loro arriveranno i tedeschi Sportfreunde Stiller (il loro concerto sarà il più seguito, assieme a quello dei già menzionati - vedi part 2 - Beatsteaks). Li evito come la peste e decido di concedermi un lu-u-u-ngo riposo sulle sdraio dell'Art Park, per essere ancora in vita quando arriveranno finalmente i Cure, il vero motivo per cui mi trovo a St. Polten. La "cura" rigenerante funziona (ma ammetto che mentre ero steso avevo paura di addormentarmi e perdermi lo show più importante del festival), così mi presento di nuovo in forma davanti al Race Stage, dove alle 22.45 appaiono finalmente Robert Smith e compagni. Mi attendono due ore e mezza di grande musica. I Cure hanno un repertorio talmente vasto e prezioso che a pescarci dentro escono solo diamanti. Non hanno nemmeno bisogno di effetti visivi e difatti le luci non sono niente di che e l'unica concessione risulta essere il fumo che esce dai due lati del palco. Sarò sincero: la prima ora non riesce ad entusiasmarmi, a un certo punto si riaffaccia la stanchezza e temo addirittura di collassare. Per fortuna la seconda parte è migliore, con in evidenza la sempre magnifica "A forest", ma è "One hundred years" che per poco non riesce a commuovermi. Di seguito la setlist del concerto dei Cure (voto: 7.5): Tape, Open, High, The End of the World, Lovesong, Sleep When I'm Dead, Push, In Between Days, Just Like Heaven, Bananafishbones, Pictures of You, Lullaby, The Caterpillar, The Walk, Friday I'm in Love, Doing the Unstuck, Trust, From the Edge of the Deep Green Sea, Play for Today, A Forest, Primary, Want, The Hungry Ghost, Wrong Number, One Hundred Years, End. Bis: The Lovecats, Close to Me, Let's Go to Bed, Why Can't I Be You?, Boys Don't Cry.

martedì 21 agosto 2012

Frequency Festival 2012 - part 2

Non c'è il vento del giorno prima, ma la seconda giornata al Frequency per il sottoscritto non comincia bene. Sotto il sole che batte i Dry the River fanno quel che possono ma non lasciano il segno. Credo però che debbano solamente farsi un pochino le ossa (voto: 6, d'incoraggiamento). Dopo di loro arrivano i Subways, un trio di giovincelli che propongono un finto punk pop per teenager di bocca buona. Il loro maggior successo è un plagio dei Black Rebel Motorcycle Club e non penso di dover aggiungere altro: cialtroni! (voto: 4). Mi sposto incazzato verso il Green Stage, dove stanno per attaccare gli Yellowcards, band di power pop che non fatico ad immaginarmi quale colonna sonora di qualche commediola americana sconsigliata ai maggiori di 18 anni (voto: 5). Tengo duro due brani, quindi fuggo via. L'incazzatura sta aumentando. Fortuna che sono in arrivo i pezzi da novanta. Ma gli Hives, sul palco principale, risultano ormai stucchevoli con la loro formuletta fatta di tanto ritmo, brevi riff e due accordi di numero (sempre gli stessi peraltro). Messi così non potranno andare molto lontano. Bella comunque l'idea di rimanersene immobili dopo lo scoppio della metaforica bomba alla fine del brano "Tic Tic Boom" (voto: 6). Il morale insomma continua a scendere e a questo punto tutte le speranze sono rivolte ai Bush, gruppo grunge che avrei giurato fosse americano e invece è inglese. Quando saltò fuori (eravamo all'inizio degli anni '90) lo snobbai, giustamente, perché in giro c'era di molto, molto meglio e perché mi ricordava altre cose (in particolare i Pearl Jam). Conosco però il loro primo album e ho pure acquistato l'ultimo, sono pertanto consapevole che questa band possiede qualcosa di molto importante che troppi altri gruppi ultimamente non hanno: sono le canzoni. Parte il primo brano - una clamorosa "Machinehead" - e scopro di essere l'unico ad agitarmi in mezzo ad un pubblico in preda ad apatia. Cioè, non capisco, finché sul palco ci stavano gruppetti del cavolo a suonare musica del cavolo tutti quanti a pogare come degli esaltati, adesso che il materiale è buono non se lo fila nessuno. Morale della favola, nel giro di qualche canzone il povero Rossdale deve già giocarsi la carta della disperazione: scende tra la folla, ad un certo punto sparisce e riappare a cinquanta metri dal palco, proprio davanti a me, col microfono davanti alla bocca e gli astanti finalmente coinvolti. Meglio tardi che mai. Per quanto mi riguarda questo è un live che scala velocemente la classifica dei miei preferiti di ogni epoca, forse addirittura degno di entrare nella top ten (voto: 8.5). Nel frattempo cominciano ad aumentare i temutissimi fan dei Beatsteaks, che ricordavo alquanto molesti in una precedente edizione del Frequency (si era ancora a Salisburgo). Li riconosci facilmente per il cappello di paglia (quello del leader della band berlinese). I non crucchi temo non possano comprendere le ragioni del successo dei Beatsteaks, ma è pur vero che nemmeno al di fuori dei nostri confini sarebbero in grado di capire perché qui da noi ci si strappi i capelli per Vasco Rossi oppure Ligabue. Per quanto mi riguarda preferisco andarmi a riposare nell'Art Park in attesa che venga il momento dei Korn. Beninteso: a me questi ultimi non è che piacciano granché e rimpiango pure il prezzo pagato parecchi anni fa per un loro cd ("Follow the Leader" del 1998), ciò non toglie che a mio giudizio proprio il loro show è stato il più bello tra quelli visti al festival (voto: 9). Sapevo di rischiare l'udito, ma superato l'istinto di darmela a gambe, mi sono abbandonato pure io all'headbanging con grande soddisfazione personale. Questi sanno davvero suonare (hanno pure un bassista come si deve!) e gli effetti visivi sono stratosferici. Stanco, ma soddisfatto, me ne torno in albergo. Il giorno dopo ci saranno i Cure!

lunedì 20 agosto 2012

Frequency Festival 2012 - part 1

Sono tornato più morto che vivo, ma anche con un'inedita abbronzatura (non succedeva da almeno 20 anni che io mi abbronzassi). Ho fatto il pieno di musica live, ho camminato come un maratoneta, ho mangiato poco e male, ho visto cose che voi umani... Eccetera, eccetera. Non ho l'età, questo è un dato di fatto, però l'ho portata fuori questa mia avventura al Frequency Festival 2012, da cui mancavo ormai da quattro anni e all'epoca ancora si teneva nella piovosa (eufemismo!) Salisburgo. Qui a St. Polten - città capoluogo della provincia dei laghi - ha fatto sempre bel tempo, con incursioni termiche però di tutto rispetto. Giovedì 16 agosto, per dire, sono arrivato che faceva un caldo che non vi dico e già alle 19 una bella felpa me la sarei messa volentieri (e a sera pure un giaccone! ne ho visti parecchi, di pelle e addirittura invernali). Mi sono giusto perso la "giornata di accoglienza", con i suoi quattro-gruppi-quattro, tra i quali purtroppo anche i Black Keys (ahi) e l'inizio della seconda, poiché al mio ingresso ufficiale al festival erano già passate le 17 e Bob Mould stava già completando il proprio set sul (ventilatissimo) Green Stage. A seguire, i Saint Etienne (voto: 6), onesti, "informali", il loro pop un po' demodè mi era piaciuto di più quindici anni fa al Beach Bum Rock Festival di Jesolo. Trasferta quindi sul Race Stage, il palco principale, per i Wilco, band apprezzatissima dalla critica ma che non ho mai voluto approfondire ed è per tale ragione che il loro show non mi ha affatto coinvolto (voto: 7, sulla fiducia). Nel frattempo il freddo si fa sentire e mi sposto al Weekender Stage, all'interno di una struttura al chiuso dove scoprirò in seguito l'Art Park, area con postazioni artistiche, spettacoli vari (una tizia si è esibita davanti a me e pochi altri con quattro hula hoop) e, soprattutto, sedie a sdraio dove riprendere energia in ambiente con luci soffuse. Al Weekender - riprendo il filo del discorso - ho visto lo svedese Miika Snow (voto: 6.5) che fino a un minuto fa ero convinto fosse crucco (poi ho verificato su Wikipedia). Non male come proposta: quattro tastiere, armonie interessanti, cantato in inglese, ma volume troppo alto per i miei gusti; cioè, potrei anche pensare di rischiare l'udito per i Nine Inch Nails, ma per Miika Snow!.. Ragazzi, non scherziamo. Il penultimo concerto della serata diventerà - a sorpresa - l'ultimo. Sto parlando di Noel Gallagher e i suoi uccelli che volano alto (voto: 6.5): uno spettacolo più che dignitoso, anche se alla fine per arruffianarsi il pubblico si gioca la carta dei singoli Oasis, esattamente come fa l'odiato fratellino quando canta con i Beady Eye. A quel punto non sono poi così soddisfatto della prima giornata del festival, però conto di risollevare (e risollevarmi) con i Placebo. Attacca lo show e già alla fine della prima canzone Brian Molko fugge via: concerto sospeso. Il bassista ci mette la faccia, spiega che il cantante sta male (un virus) e promette che torneranno il prossimo anno (ah bè!). Questa mi mancava, dopo tanti anni di concerti...

lunedì 6 agosto 2012

Ciao ciao Facebook

Oggi mi sono levato da Facebook. Ho sempre pensato che fosse una stupidata e la pratica me lo ha confermato. Soprattutto, non sopportavo più le manie di protagonismo di persone che non hanno assolutamente nulla da dire, eppure pretendono di condividerlo con il mondo intero!