martedì 21 agosto 2012

Frequency Festival 2012 - part 2

Non c'è il vento del giorno prima, ma la seconda giornata al Frequency per il sottoscritto non comincia bene. Sotto il sole che batte i Dry the River fanno quel che possono ma non lasciano il segno. Credo però che debbano solamente farsi un pochino le ossa (voto: 6, d'incoraggiamento). Dopo di loro arrivano i Subways, un trio di giovincelli che propongono un finto punk pop per teenager di bocca buona. Il loro maggior successo è un plagio dei Black Rebel Motorcycle Club e non penso di dover aggiungere altro: cialtroni! (voto: 4). Mi sposto incazzato verso il Green Stage, dove stanno per attaccare gli Yellowcards, band di power pop che non fatico ad immaginarmi quale colonna sonora di qualche commediola americana sconsigliata ai maggiori di 18 anni (voto: 5). Tengo duro due brani, quindi fuggo via. L'incazzatura sta aumentando. Fortuna che sono in arrivo i pezzi da novanta. Ma gli Hives, sul palco principale, risultano ormai stucchevoli con la loro formuletta fatta di tanto ritmo, brevi riff e due accordi di numero (sempre gli stessi peraltro). Messi così non potranno andare molto lontano. Bella comunque l'idea di rimanersene immobili dopo lo scoppio della metaforica bomba alla fine del brano "Tic Tic Boom" (voto: 6). Il morale insomma continua a scendere e a questo punto tutte le speranze sono rivolte ai Bush, gruppo grunge che avrei giurato fosse americano e invece è inglese. Quando saltò fuori (eravamo all'inizio degli anni '90) lo snobbai, giustamente, perché in giro c'era di molto, molto meglio e perché mi ricordava altre cose (in particolare i Pearl Jam). Conosco però il loro primo album e ho pure acquistato l'ultimo, sono pertanto consapevole che questa band possiede qualcosa di molto importante che troppi altri gruppi ultimamente non hanno: sono le canzoni. Parte il primo brano - una clamorosa "Machinehead" - e scopro di essere l'unico ad agitarmi in mezzo ad un pubblico in preda ad apatia. Cioè, non capisco, finché sul palco ci stavano gruppetti del cavolo a suonare musica del cavolo tutti quanti a pogare come degli esaltati, adesso che il materiale è buono non se lo fila nessuno. Morale della favola, nel giro di qualche canzone il povero Rossdale deve già giocarsi la carta della disperazione: scende tra la folla, ad un certo punto sparisce e riappare a cinquanta metri dal palco, proprio davanti a me, col microfono davanti alla bocca e gli astanti finalmente coinvolti. Meglio tardi che mai. Per quanto mi riguarda questo è un live che scala velocemente la classifica dei miei preferiti di ogni epoca, forse addirittura degno di entrare nella top ten (voto: 8.5). Nel frattempo cominciano ad aumentare i temutissimi fan dei Beatsteaks, che ricordavo alquanto molesti in una precedente edizione del Frequency (si era ancora a Salisburgo). Li riconosci facilmente per il cappello di paglia (quello del leader della band berlinese). I non crucchi temo non possano comprendere le ragioni del successo dei Beatsteaks, ma è pur vero che nemmeno al di fuori dei nostri confini sarebbero in grado di capire perché qui da noi ci si strappi i capelli per Vasco Rossi oppure Ligabue. Per quanto mi riguarda preferisco andarmi a riposare nell'Art Park in attesa che venga il momento dei Korn. Beninteso: a me questi ultimi non è che piacciano granché e rimpiango pure il prezzo pagato parecchi anni fa per un loro cd ("Follow the Leader" del 1998), ciò non toglie che a mio giudizio proprio il loro show è stato il più bello tra quelli visti al festival (voto: 9). Sapevo di rischiare l'udito, ma superato l'istinto di darmela a gambe, mi sono abbandonato pure io all'headbanging con grande soddisfazione personale. Questi sanno davvero suonare (hanno pure un bassista come si deve!) e gli effetti visivi sono stratosferici. Stanco, ma soddisfatto, me ne torno in albergo. Il giorno dopo ci saranno i Cure!

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page