
di Filippo Ceccarelli, da Repubblica.it
"NO ALLA TROTA!!!!!!!" scrivono su Facebook giovani coraggiosi leghisti. E' nato un gruppo ribelle, il logo mostra un'urna e sopra un pesce sbarrato di rosso con la scritta "no, grazie". Scrivono pure: "Che vada a Varese", "Forse da Milano non hanno ben capito che non siamo qui a farci prendere in giro!", "Facciamoci sentire!". Protesta ridotta, ma significativa contro il Figlio di Papà della Padania, Renzo Bossi, già delfino paternamente retrocesso a trota, e da ieri paracadutato nel collegio provinciale e blindato di Brescia, perciò quasi sicuro consigliere regionale - nonostante ieri il presidente Formigoni abbia letto in questa candidatura "lo sbiadirsi del familismo", perché adesso il ragazzo "dovrà cercarsi le preferenze"; e questa, ha proclamato ispiratissimo, "è la democrazia". Certo, proprio questa. Tanto che la consigliere regionale a cui Renzo ha soffiato il posto, Monica Rizzi, arriverà pure lei al Pirellone, ma nel listino bloccato.
Che poi, come si dice, tutto il mondo è paese, nel senso che il potere fa sempre pesare gli stessi suoi vizi in ogni luogo. Ed è un vero peccato che i giovani del gruppo digitale intitolato "REGIONALI 2010: da buon BRESCIANO leghista NON scrivere Renzo Bossi!!!" non si siano peritati di tradurre in qualche dialetto locale, di quelli che si insegnano agli "orsetti" delle scuole bosine, l'antico motto secondo il quale i figli sono "piezz' è core" di papà e mammà. Nel caso di Renzo, però, il cuore si estende anche a quello dell'ex ministro Castelli, una specie di zio che anche lui ieri ha voluto sottolineare che il ventunenne in questione "dovrà affrontare la campagna elettorale e ottenere le preferenze sufficienti", e questo "credo che sia - ha spiegato e qui decisamente superando l'entusiasmo di Formigoni - un atto di coraggio di fronte al quale mi tolgo tanto di cappello". Testuale.
La candidatura con scappellamento è da intendersi come lo sbocco di una lunga pressione, in verità più paterna che genitoriale, cresciuta negli ultimi due anni. Nella Prima Repubblica c'erano anche casi di padri illustri che impedivano ai figli di fare politica. Neanche a farlo apposta, dopo la citazione napoletana dei "piezz' è core", uno fu Silvio Gava, che permise a don Antonio di presentarsi solo dopo il sospirato ritiro: "In politica di Gava ne basta uno solo" diceva. Bene, questo genere di decoro è oggi completamente saltato. Non solo, ma se il motto che Leo Longanesi voleva fosse inscritto nel bianco del tricolore, "Tengo famiglia", è arrivato solo ora a sventolare dalle parti del sole delle Alpi, lo si deve probabilmente alla moglie del Senatùr, la signora Manuela, che nel 2008 si oppose fermamente alla sovraesposizione del ragazzo, che a quel tempo il padre aveva preso l'abitudine di portarsi appresso sui palchi, ad Arcore e perfino ai vertici del centrodestra.
Si parlò allora di una possibile successione del sangue alla guida del movimento. Evento peraltro abbastanza naturale nel quadro delle riemersioni arcaiche e pre-democratiche (giuramenti, rituali, costumi di scena, guerrieri a cavallo alla prima del Barbarossa) che contrassegna l'immaginario leghista. Fatto sta che i notabili, i dignitari e gli aspiranti, che non mancano mai, già guardavano storto il povero Renzo dopo aver saputo che avrebbe raccolto lui l'acqua santa alle sorgenti del Po. E se è per questo, già s'era fatto vivo anche il primogenito Riccardo, pilota di rally: "Ohè! Ci sono anch'io!". Venne fatto assistente di Speroni a Strasburgo, ma fu impedito di partire per l'Isola dei famosi.
L'investitura del secondogenito fu dunque provvisoriamente scongiurata, per vie famigliari. Retrocesso a trota, oltretutto il ragazzo ebbe un sacco di problemi con la maturità. Nonostante la tesina su Cattaneo, che Riccardo fantozzianamente ipotizzò fosse il frutto del lavoro di alcuni deputati, venne una prima volta bocciato; e allora papà se la prese con gli insegnanti meridionali. Lo respinsero di nuovo, stavolta i preti, e gli fu concesso di poter invano ripetere gli esami. Nel frattempo si dedicò alla nazionale di calcio della Padania e a Internet, dove gli attribuirono -ma forse non aveva colpa - un simpatico videogioco che si chiamava "Rimbalza il clandestino".
Poi, un anno fa, fu sistemato all'Osservatorio sulla trasparenza e l'efficacia del sistema fieristico delle fiere lombarde. Ma evidentemente non bastava ed ecco la candidatura: trota al cartoccio. "Ma PERCHE' a BRESCIA - scrivono su Facebook - ora noi militanti della Provincia saremo obbligati a fargli campagna elettorale?".