
Quando parlava dei quindici minuti di celebrità che non si negano a nessuno era notoriamente ai Jalisse che Andy Warhol si riferiva, anche se - crepando dieci anni prima (che lo abbia fatto apposta?) - aveva perlomeno avuto la fortuna di evitarli. Nel 1997 gli sconosciuti Jalisse salgono sul palco di San Remo e a sorpresa vincono il festival con una canzone-plagio di "Listen to your heart" dei Roxette, magari attendendosi una vera e propria carriera musicale e invece diventando loro malgrado sinonimo di meteora. Gruppo da una botta e via, ha deciso di ritentare oggi la sorte, in considerazione del fatto che se nei cartelloni dei teatri spicca il manifesto di "Rita Pavone is back!" e addirittura tornano i micidiali Vianella, allora una seconda chance il pubblico non la negherà nemmeno a loro. E fa pure scalpore la notizia che la cantante Alessandra Drusian abbia tentato l'avventura del talent "The voice" e sia stata addirittura scartata: nessuno dei quattro giudici l'ha riconosciuta! La Carrà s'è scusata, Pelù ha parlato di "figura di merda" e io ci aggiungerei un chissenefrega se non fosse che il mio intento non è quello di parlare di uno stupido programma televisivo, ma di quanto danneggino la musica i format come "The voice". Perché oggi come oggi gli unici a vendere qualche disco e a ottenere le scritture per qualche data in giro per locali sono proprio i vincitori dei talent, interpreti - comunque mediocri se paragonati a quelli americani o di analoghe produzioni anche europee - che nulla portano alla musica e anzi le sottraggono. Con il metro della "bella voce" non avremmo avuto Bob Dylan, non avremmo avuto Neil Young (tanto per citare i primi due che mi vengono in mente), non avremmo avuto la stragrande maggioranza degli artisti che del pop-rock hanno fatto la storia. I talent non aiutano la musica: la uccidono.
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