lunedì 11 gennaio 2016

Il mio addio al Duca Bianco

Non c'è peggior cieco di colui che non vuol vedere. Ci erano cascati persino i bookmaker inglesi, che ancora un anno fa continuavano a quotare David Bowie quale potenziale headliner di Glastonbury. Eppure gli indizi, a volerli davvero leggere, conducevano tutti alla medesima conclusione. Dalle recenti immagini del Duca: palesemente stanco, invecchiato o, più semplicemente... malato. E poi l'ostentato simbolismo, tanta roba pure per uno come lui, che all'estetica del "larger than life" ci aveva assuefatti anche più degli anni Ottanta, che Bowie aveva non a caso dominato dal punto di vista delle vendite e magari molto meno dal punto di vista della creatività. Il simbolismo, si diceva, a partire appunto dalla stella nera che spicca sulla copertina dell'ultimo disco, ovverosia lo yin (l'oscurità) che sembra opporsi allo yang (lui era pur sempre il "Duca Bianco"), ma in realtà lo completa in quello che nella filosofia confuciana viene chiamato Taijitu. Detto con il senno di poi, la stella nera altro non è che la morte incombente, il sipario che si chiude sull'artista Bowie, che però prima di lasciarci ha voluto regalare un ultimo grande album ai suoi fan ("The next day" del 2013) e indicare due anni dopo, con "Blackstar", la via agli eventuali (molto eventuali...) eredi, nella consapevolezza che ormai la musica rock e pop non stava andando da nessuna parte e stagnava, riciclando di fatto soprattutto gli anni Sessanta e Settanta, ma anche gli Ottanta e quanto di buono era uscito dalla prima metà dei Novanta. Ed è altresì significativo che l'album della definitiva rinascita artistica (il brano intitolato "Lazarus" la certifica indirettamente), nonché ennesima mutazione del più camaleonte di tutti, sia stato pubblicato proprio nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno e che TRE GIORNI DOPO il "messia" del pop ci abbia lasciati.

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