martedì 6 aprile 2010

Ricorrenze


A un anno esatto dal terremoto dell'Abruzzo - con le macerie di L'Aquila ancora fumanti e al loro posto, se non fosse per la buona volontà degli abitanti - tocca sentire di nuovo la litania del "miracolo" da parte del solito Berlusca, ma pure dello stesso Bertolaso. Ecco un buon esempio di come una parola possa perdere il proprio significato originario. Perché i miracoli nel nostro caso non c'entrano niente. A contare è invece l'incompetenza di personaggi capaci unicamente di riempirci le orecchie con le loro stronzate. Lo chiamo "marketing della tragedia". Se a L'Aquila la costruzione di quattro casette prefabbricate la si definisce miracolosa, come dovremmo chiamare allora la ricostruzione del Friuli, raso al suolo dagli eventi sismici del '76? Sono di Gemona - l'epicentro - e il terremoto l'ho vissuto in prima persona. E ricordo che a un anno dal sisma le macerie non c'erano più, le fabbriche erano ripartite e tutte le persone rimaste senza un tetto sopra la testa erano state sistemate nelle cosiddette "baraccopoli", in prefabbricati dignitosi: sala/cucina, due camere, bagno. Nel frattempo la ricostruzione - quella "vera", altro che L'Aquila - procedeva a gran ritmo, tant'è vero che nel giro di pochi anni tutti tornarono nelle case di mattoni e cemento. Il nostro viene ancora oggi definito "il modello friulano" e l'allora commissario Zamberletti a quasi 35 anni di distanza è considerato poco meno di un eroe per quello che fece all'epoca. Dopo un solo anno, se il Berlusca fa vedere la propria faccia a L'Aquila poco ma sicuro che lo sommergono d'insulti. Altro che "miracolo"...

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